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sabato, Novembre 23, 2024
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Se anche i beni culturali necessitassero di un buon piano di comunicazione?

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La nuova campagna FAI – Fondo Ambiente Italiano, “Ricordiamoci di salvare l’Italia”, ironizza con simpatia sulla libera interpretazione gastronomica della cucina italiana all’estero: la golosa pizza napoletana viene arricchita con ananas, panna e cioccolato; i gamberi sono tuffati in uno schiumoso cappuccino; gli spaghetti conditi con la celebre salsa ketchup.

 

È facile infastidirsi nel vedere la nostra tradizione culinaria deturpata dal genio creativo estero e, del resto, non è la prima volta che casi analoghi emergano nel settore della comunicazione.  È già capitato, infatti, che il popolo di internet si sia sollevato in rivolta contro chi ha osato riadattare il nostro modo di cucinare. Ricordiamo, ad esempio, il video virale francese che insegnava come preparare un’ottima carbonara in quattro piccole mosse. Un piatto tipico, portato alla ribalta grazie ad un cuoco (o presunto tale) che si impegnava a guidare i meno esperti in cucina, nel mondo culinario made in italy… un’idea geniale, se non fosse che quelle quattro mosse erano tutte sbagliate!

Risentirsi è perfettamente in linea con il nostro modo di essere italiani, soprattutto se pensiamo che la dieta mediterranea è patrimonio culturale immateriale UNESCO. Ma il FAI mette forse in luce una questione ancor più importante, che spesso non viene tenuta in considerazione ma che è uno dei principi cardine della valorizzazione: la cultura non è settorializzabile, ma è da intendersi come unicum.

La capacità di una buona campagna di comunicazione per i beni culturali è infatti quella di riuscire a non tenere separati i diversi ambiti, ma trovare tra di essi i diversi punti di collegamento. Pensiamo ad esempio al turismo culinario, che in questi anni ha visto coinvolta in primo piano la regione delle Langhe. Vino, buon cibo e patrimonio storico artistico sono stati messi in un rapporto di interdipendenza. L’appassionato di cucina, dopo essere stato preso per la gola, è inoltre incuriosito da quella tradizione immateriale e ambientale che si nasconde dietro alla produzione dei vini. Viene così coinvolto in un itinerario turistico che lo porta alla riscoperta di cascine, ville patrizie, affreschi (iconograficamente riconducibili al tòpos della vendemmia e del vino), eventi e manifestazioni: tutti collegati alla produzione vitivinicola che in quella zona è parte integrante del quotidiano da secoli.

Con intelligenza il FAI, riprendendo casi mediatici di indignazione collettiva, ci invita a ripercorrere lo stesso tipo di turbamento per tutti quei luoghi di interesse storico-artistico che, pur appartenendo al nostro bagaglio culturale e alla nostra tradizione, sono caduti in rovina o lasciati al degrado più assoluto.

Un piano di comunicazione per la valorizzazione deve infatti essere in grado di coinvolgere, oltre che i fruitori dei beni culturali, anche le comunità insediate nel territorio che sono le vere detentrici dello stesso patrimonio.

Indubbiamente una campagna di sensibilizzazione ben riuscita.

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