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“Si tratta di un esperimento di design democratico, al di fuori da qualsiasi difficile spiegazione sono solo 3 linee incastrate che possono diventare un cerchio, un quadrato, un rombo e un triangolo con sotto una frase presa dal piccolo principe: “l’essenziale è invisibile agli occhi” con “in” cancellato perché tutti possono vedere che questa è l’essenza di Catania.”
“l’essenziale è
invisibile agli occhi”
Così mi descrive il suo progetto al telefono con voce stanca dopo una mattinata di lavoro proprio, il 24 di dicembre, Giuseppe Liuzzo, uno dei massimi esperti di branding in Italia e coordinatore didattico presso IED di Milano, conosciuto dal grande pubblico come BOB Liuzzo.
Ma Catania non ha già molti simboli che la contraddistinguono e in cui anche i catanesi si rappresentano?
“Sì Marco, tu parli del “Liotru”, l’elefante nero, il simbolo della città che sì, unisce ma è difficile da rappresentare. Inoltre ti basterà fare due passi fuori dalla città per scoprire che non rappresenta poi tutti i catanesi mentre l’Etna, con le sue eruzioni, il mare, la sua cornice, è una cosa a cui tutti indipendentemente da età, classe sociale, provenienza culturale si riconoscono e soprattutto è la cosa che il residente di porta dentro e che il turista si porta dietro.”
Ma non ti è stato commissionato da nessuno, giusto?
“Il nostro mestiere si è un po’ deviato nel tempo, non per forza devo fare un progetto solo perché me lo chiedono, ma anche perché ne sento la necessità. Come designer siamo usati come “espresssori” di contenuto mentre dovremmo essere principalmente dei creatori. Il mestiere del grafico è morto per come lo conoscevamo, se vogliamo usare un po’ di tatto possiamo dire che è cambiato e si è evoluto. Un designer può risolvere problemi o almeno, anche se non direttamente, può puntare il dito verso la soluzione, l’importante è non ridursi ad essere semplice manovalanza.”
“Da catanese e da designer sentivo il bisogno di risolvere un problema, ora sta ai catanesi decidere di prendere questo simbolo e decidere se li rappresenta o meno. Se proprio cerchi un perché l’ho fatto potrei dirti che, in primo, porto Catania con me nel cuore anche se ormai lavoro e vivo al nord. Secondo: visualizzare un territorio oggi più che mai è diventato la cosa più importante del mondo in quest’era che vive di visualizzazioni, di impatto visivo. Terzo: penso che siamo in un’era fin troppo piena di parole e “Le immagini uniscono, le parole dividono” citando Otto Neurath. Quarto e ultimo punto il design deve essere democratico, specialmente quando si parla di territori e non di aziende, lo scopo qui è unire le persone fuori dai confini di una singola città, l’identità deve allargarsi alla sua più ampia estensione geografica, metropolitana e multiculturale ma, alla fine, il motivo principale è perché io sono catanese nell’anima e nel cuore anche se con questo accento milanese ormai non lo nota più nessuno” (RIDE).
Questo segno che è un po un “logo turistico” è un provocazione verso le istituzioni?
“C’e un senso di rivalsa in questo simbolo che logo non è, non è e ne vuol essere il marchio “I LOVE NY” di Milton nato per salvare una città dal degrado, né tanto meno un logo turistico, la cosa più castrante e schifosa del mondo! Un logo turistico è come un ristornate con il menu turistico, una truffa fine a se stessa che lascerà tutti scontenti.
Le pubbliche amministrazione non dovrebbero chiedere loghi turistici ma territoriali. Un logo deve essere territoriale e questo simbolo che non è un marchio, un logo o una bandiera non è voluto da un politico, non lo ha fatto un’agenzia di marketing, non nasce da un concorso in cui si sceglie il meno peggio, nasce da me che mi definisco un designer “cazzone”. Non nasce per essere “mio” ma per essere di tutti! Solo un’icona costruita da 3 semplici che tutti possono replicare e poi, come i bambini, colorare al loro interno circondandole con la forma che sentiranno più vicina a loro, un cerchio, un quadrato, un rombo o anche qualcosa di astratto in modo che la riconoscibilità territoriale possa esplodere senza il bisogno di essere vincolata ad una singola forma o visualizzazione.
Credo che abbia delle potenzialità per diventare un marchio moderno e declinabile attraverso un modernismo differente da quello a cui siamo abituati a vedere nel bauhaus o nel modernismo svizzero ma un modernismo democratico e accessibile a tutti, distaccato da ogni simbolo religioso e libero da vincoli iconografici artificiali che richiedono delle decodifiche lunghe e articolate.
Io credo che un territorio vada ricercato nella sua essenza… per questo vedi: “L’essenziale è invisibile agli occhi”, e non vadino ricercati in simboli di artefatti architettonici o addirittura usare la religione, usare la religione per identificare un territorio si rischia di diventare come l’isis. In queste linee l’Etna e il mare non potrebbero non essere subito visibili ma una volta risolto il rebus grafico e riconosciuti gli elementi il legame emotivo con il segno è subito forte.”
Quindi possiamo chiamare questo segno “essenza di catania” senza banalizzarlo? come lo vedi nel futuro?
“Io da designer non posso fare a meno di immaginarlo su spillette, magliette, cartoline, cadendo nella trappola del marchio turistico, ma questa cosa dovrebbero farla le persone, perché questo marchio nasce da elementi che Catania possiede, io li ho solo espresse con delle line e delle bombolette su un muro, ho dato forma a qualcosa che era ed è sempre stata già lì, perché le idee sono come i pokemon, non te li inventi dal nulla ma le trovi in giro nell’erba alta se hai il coraggio di avventurarti. Forse questo mio “regalo” è un modo per farmi perdonare di essermene andato da questa città a cui devo molto e del fatto che se tornassi non ci starei bene come realmente credo.”
Perché disegnarlo sui muri della città?
“Ho voluto mettere questo segno in bella vista su un muro perché l’occhio lo possa vedere e la mano lo possa riprodurre e se veramente ho visto giusto da questo segno moderno nasceranno spunteranno delle gambine e dei piedini e se ne andrà in giro da solo. altrimenti non so, forse ci giocheremo al trio al bersaglio. In fondo non sono le persone o i luoghi ad avere bisogno di un logo ma i loghi che hanno bisogno delle persone.
Basta con questo nazismo della grafica del “io so io e voi non siete un cazzo”, designer distaccati dalla realtà pratica della vita, la grafica deve passare di mano in mano ognuno dovrebbe interpretare in maniera consapevole un territorio:
Tutti dovrebbero saper disegnare ciò che amano.