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“Ci vediamo al bar! Invece sono venuti tutti a casa mia a prendere il caffè.”
È un oggetto che non potete non conoscere e, in alcuni casi, idolatrare: la moka il cui nome deriva dalla città di Mokha, in Yemen, una delle zone più note per la produzione della bevanda sacra: il caffè.
Inventata nel 1933 da Alfonso Bialetti è diventata simbolo del made in Italy nel mondo per qualità e diffusione.
Il suo inventore, titolare di un’azienda semilavorati in alluminio, ebbe l’intuizione osservando la moglie utilizzare la “lisciveuse” uno dei primi prototipi di lavatrice che, per meglio sciogliere e distribuire il detersivo sul bucato, utilizzava un sistema di acqua calda che risalendo attraverso un tubo scioglieva le scaglie di detersivo che finivano sui panni. L’intuizione, a dir poco geniale, fu nel trasporto della tecnologia da un settore all’altro, oltre la scelta del materiale con cui realizzarla dal momento che, proprio per scarsità del metallo dato dalle guerre, l’alluminio era il metallo simbolo della dittatura fascista e osannato dai futuristi: è il metallo con cui vengono costruiti gli aerei, è veloce, forte, incorruttibile, resistente, luccicante come l’argento.
Dal design pressoché invariato data l’essenzialità e l’estrema funzionalità ha soppiantato da subito la caffettiera napoletana, più difficile da usare dato che era necessario girarla una volta che l’acqua aveva raggiunto l’ebollizione.
La moka è composta da quattro elementi in alluminio, oltre che una guarnizione sostituibile quando usurata e un manico originariamente in bachelite, ora in plastica. La moka classica ha una sezione ottagonale, che si restringe verso il centro a formare un’impugnatura utile per essere maneggiata anche calda usando i guanti da forno o un panno da cucina, mentre la forma ottagonale è pensata per aumentare la presa in caso di superficie bagnata, ma anche di potervi imporre della forza durante l’avvitamento con la stessa logica applicata ai bulloni, non dimentichiamoci che l’inventore aveva una forte preparazione tecnica meccanica che risulta evidentissima nel design del prodotto.
Una delle campagne pubblicitarie più famose andate in onda nella celeberrima trasmissione “carosello” recita: “Ci vediamo al bar! Invece sono venuti tutti a casa mia a prendere il caffè.” Ed è questo nodo centrale che rende la moka un’icona, ancora prima delle più classiche definizioni che non vanno assolutamente messe in discussione, quali: praticità, ergonomia, abbattimento di costi o contenimento di spazi.
L’oggetto non è più semplicemente utile ma anche piacevole e perno per l’aggregazione sociale in sostituzione del bar, è condivisione e convivio. Il tutto rappresentato magistralmente dal famoso “omino coi baffi”, quello col dito alzato come quando si richiama l’attenzione del barista per un caffè, logo disegnato da Paul Campani nel 1958 riprendendo i baffoni di Alfonso Bialetti secondo un intuizione di Renato, il figlio subentrato al padre nella dirigenza dell’azienda nel secondo dopoguerra e artefice del vero boom dell’azienda non solo dal punto di vista industriale ma anche dal punto di vista del branding ante litteram, infatti tra il 1936 e il 1940 Alfonso Bialetti produce e vende solo un 10 mila caffettiere all’anno che vende personalmente nelle fiere di paese e nei mercati rionali. Il mercato a cui si rivolge Renato Bialetti e più vasto e tutti volevano avere un “barista in casa”, negli anni successivi rimette in funzione i macchinari e costruisce una nuova fabbrica arrivando a produrre 18 mila caffettiere al giorno, circa 4 milioni all’anno.
Sono gli anni del boom economico in Italia, gli anni della lettera 32, della 500, della vespa, della radio cubo e dei primi giradischi e la moka si inserisce prepotentemente, nonostante i suoi 30 e più anni di vita, nello scenario italiano e internazionale per cui tutto deve essere a portata di tutti e non esistono più i mostri sacri ed inviolabili destinati ad una piccola élite di persone.