caro capo ecco come mi licenzio ai tempi di internet!
17 ore di lavoro al giorno e un capo che continua a chiedere quante visualizzazioni ha fatto l’ultimo video pubblicato piuttosto che preoccuparsi dei contenuti. Cosi, Marina Shifrin, dopo qualsiasi privazione di una vita sociale e privata, ha deciso di licenziarsi in grande stile stile, pubblicando un video diventato virale in pochissime ore e che rimbalza tra i social e le testate giornalistiche di tutto il mondo. Marina Shifrin magari non avrà portate tutte le visualizzazioni volute al capo ma di sicuro e diventato uno dei video virali più clikkati del web. Chissà se gli avranno dato una buona uscita…..
Dove c’è Barilla c’è bufera // Raccolta delle proteste sul web
In qualche modo la Barilla è riuscita a far parlare di se.
“NO A FAMIGLIE GAY NEGLI SPOT”
Ieri durante il programma di Radio24 “La zanzara”, Guido Barilla ha dichiarato:
“Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”.
Addirittura anche Oliviero Toscani ha dichiarato che non mangerà più pasta Barilla.
Molti sono i punti di vista. Questa dichiarazione ha tagliato a metà l’opinione pubblica e ha sollevato un vero e proprio polverone: se ne parla su Twitter, su Facebook… è nato addirittura l’hashtag #boicottabarilla , #barillaomofoba e via dicendo.
Proprio in questi luoghi ho raccolto le immagini di protesta degli utenti, un po’ per la cronaca, un po’ per riflettere, un po’ per riderci su.
Il Sign. Barilla ha ben chiare le sue idee e nel bene e nel male è libero di difendere i proprio posizionamento e di scegliere il proprio target. Se perderà dei clienti pagherà per questo. Io intanto mi mangio un bel piatto di farfalle DE CECCO! 😉
Ecco a voi la mia raccolta!
Pubblicità razziste, sessiste, pericolose.
Bambini neri definiti “sporchi”, donne sculacciate, bimbi con rasoi in mano o intrappolati felicemente nel cellophane: sono solo alcuni esempi di una serie di pubblicità razziste, sessiste e spesso pericolose. Invogliano a fumare, a bere birra durante l’allattamento o prima di mettersi in viaggio con l’auto. Siamo oramai nel 2013 e guardare queste immagini ci fa ridere e pensare a quante cose siano cambiate, a quanto la pubblicità sia lo specchio di tempi storici passati, del mercato, dei desideri, della società.
Non vi resta che dare un’occhiata a questa spettacolare raccolta di pubblicità “assurde” che ho trovato prima su Il Post poi alla fonte, su Owni.eu.
Buona visione!
Kain is Mirko or Mirko is Kain?
Ciao amici di roba da grafici!
Questa è un’intervista particolare. Intervisterò due persone. Un cartoonist e un Art director: Kain Malcovich e Mirko Di Francescantonio.
Ciao Kain. No, ciao Mirko. Ma ora chi sto intervistando? Sono confusa.
Bè, con noi. In genere quando prenoto un tavolo per due il cameriere mi guarda confuso come lo sei tu. Ma in genere telefona Mirko. Ok
Ciao Mirko allora… Inizi bene, con una laurea all’Università Europea del Design di Pescara nel 2002. Impagini, collabori, lavori, gavetti…. Cosa è successo in questi anni?
Una sorta di scalata ambiziosa nella mia testa di allora. Volevo imparare il mestiere. Lavorare innanzitutto sul fatto che io non fossi nessuno. Molti partono con l’idea di spaccare il mondo. Bè, è giusto, dovremmo spaccarlo tutti, ma per farlo devi imparare a prenderle per saperle dare. Sono partito da un posto che non aveva neppure un vero e proprio bagno. Sottopagato. A pranzo mangiavo panini al freddo. Già non c’era neppure lo scaldamento. Ma volevo impararare e soprattutto fare errori per poterlo fare. Quando mi accorsi che avevo preso tutto quello che potevo apprendere da quel posto me ne andai. Così saltellai da agenzie piccole a quelle un po’ più grandi a quelle ancora più grandi. Sempre con lo stesso criterio: impara tutto quello che puoi da quel posto e una volta spremuto tutto a livello di conoscenza vattene. Poi mi misi a lavorare da solo. E infine cambiai città.
Dal 2009 lavori per una serie di aziende. Diventi anche art director. Cosa bisogna fare per diventare art director?
Avere la stima del cliente. Andare con lui a prenderti un caffè, farvi una passeggiata al parco. Fargli venire voglia di costruire, costruire qualcosa con te, e questo è difficile che accada se c’è un rapporto fatto solo di preventivi e fatture.
Quanto è importante aprire la partita Iva per un creativo? Tu l’hai aperta nel 2009…
Credo sia più importante per lo Stato che per me. Non ho una famiglia con moglie e figli da mantenere ma in compenso ho adottato dei politici. E’ a loro che vanno circa la metà dei miei sacrifici. E credo sia importante anche per una questione burocratica; le persone si fidano quando vedono quei numerini sul tuo biglietto da visita e sul tuo sito; è il timbro della tua professionalità. Ripeto, burocrazia e adozione a distanza.
È necessario frequentare l’Università Europea del Design per fare il graphic designer o credi si possano percorrere altre strade? Se si, quali?
Credo sia fondamentale frequentare una università a riguardo; fa la differenza tra te e il vicino di casa che si scarica Photoshop e dichiara di essere grafico. Ti da un approccio, una teoria che sottovalutiamo: ti dà l’esperienza di chi l’ha fatto prima di te e tu devi portarla avanti. Si chiama evoluzione della specie. Non conoscere queste cose si chiama rischio per te e il cliente.
Quali sono le migliori fonti di ispirazione per te?
Le passeggiate. E la musica.
Internet: tripudio di informazioni . Ha senso prendere ispirazione dalla rete?
No, non credo. Una volta un libraio mi disse: “Noi siamo quello che leggiamo”. Ora, se molto tempo lo impieghiamo leggendo cose sui social, allora noi siamo la cultura di noi stessi. Questo vuol dire, come starai vedendo, che tireremo fuori tutti delle idee simili. Ogni tanto accade: penso a una campagnia e qualcuno il giorno dopo la tira fuori dall’altra parte del mondo, senza che io ne avessi parlato con nessuno. Questo non è rubare né essere poco originali, ma attingere dalla stessa fonte. Ho deciso di limitare il mio tempo su internet quotidianamente a un 5 minuti la mattina e 15 la sera.
Cosa ti porta a seguire un certo percorso? Quanto c’entra il vissuto personale con le scelte di chi si occupa di immagine?
Bisogna entrare in simbiosi con il cliente. Credere in lui. Sapere che se non si riesce subito è perchè si sta imparando. Io credo nei clienti. So quanto vogliano farcela e allora la prendo sul personale: dobbiamo. Adoro la testardaggine.
Convincimi del fatto che diventare Art director non sia una cosa così figa.
Devi mettere d’accordo tante teste. A volte alzare la voce. Ti viene voglia di mollare tutto e andare via. Vieni bersagliato da chi voleva farlo al posto tuo. A volte è una lotta libera tra pavoni. Ti dici: “Potevo andarmene al cinema”.
Simpatica la sezione del sito dove racconti i “dietro le quinte” dei tuoi lavori. Ce ne racconti uno?
Con la Tognazza Amata. Ricordo che in quel periodo ci fu il terremoto in Emilia. Io abito a Bologna da sei anni e mezzo; mi alzai la mattina dopo la prima grande scossa scombussolato. Mi telefonò un vecchio amico e cliente; mi aveva detto che si era messo in società con Gianmarco Tognazzi, attore nonché figlio del grande Ugo.Ero in pantofole e stavo facendo il caffè il giorno dopo il terremoto e mi trovai a parlare al telefono improvvisamente con “Il figlio di Tognazzi”, io che ero cresciuto a pane e Amici miei, notando come somigliasse la sua voce dietro la cornetta a quella del padre. Curioso. Lavorammo al lancio dell’etichetta “La Tognazza amata”.
Scusami Mirko, adesso vorrei passare da Kain, sei d’accordo?
Facciamo pure.
Ciao Kain! Per l’esattezza sei Kain Malcovich. Ma come mai questo nome? Chi sei?
Usa questo nome per mascherare le sue figuracce” disse una volta mio fratello. Bè, in parte è vero. Se hai bisogno di dire qualcosa talvolta hai paura di coinvolgere persone che ti stanno attorno. Funzionava finchè non si sapeva chi fossi. E poi quando scelsi il nome, molti anni fa, ascoltavo gruppi musicali e cantanti inglesi con nomi pazzeschi: Freddie MERCURY, Joe TEMPEST. Wow, ne volevo anche io uno così al posto del mio lungo cognome. E “Mirko” non mi piaceva come nome.
32 pubblicazioni! E mica son briscolette! Come fai a produrre così tanto materiale?
Non lo so. Sono “accadute”. Mi hanno chiamato e io mi ci sono buttato. Poi passa il tempo e ti accorgi che ne hai fatte un po’.
Come hai scoperto di avere la passione per i fumetti?
Io ho IMPARATO a leggere con i fumetti – della Corno. Quando alla scuola elementare mi insegnarono i primi rudimenti di lettura mi buttai su quei volumetti che avevo in casa comprati da mio padre e mio fratelo. Penso che il primo che lessi fu un Daredevil disegnato da Frank Miller. L’anno dopo, a sette anni, lessi il suo “Il ritorno del cavaliere oscuro” su “Corto Maltese”; tra l’altro il primo a tradurlo in Italia fu il compianto maestro Enzo G. Baldoni se non sbaglio. Negli anni successivi, cioè tra gli 8 e i 10 anni, lessi V for vendetta e The Watchmen di Alan Moore. I miei temi in classe erano abbastanza particolari e precoci in effetti.
Ti ricordi il tuo primo approccio al disegno?
Sì. Disegnavo su una agenza. Avevo questo personaggio, il Super Baby o qualcosa del genere: una fusione tra Charlie Brown e un super eroe.
Ciao sono Yellow Kid. Come stai?
(risponde a modo suo)
Scusa per la domanda precedente. Non ho resistito. Ne faccio una seria adesso. Come si lavora ad un fumetto?
Si segue una storia scritta e divisa per pagine. Se te la scrivono. Quando partono da me invece improvviso la storia sui miei errori, quindi non so mai come vanno a finire quando le inizio. Improvviso.
Chi disegna perché lo fa? E qui chi ama disegnare come te risponderebbe “perché mi piace, perché sono pervaso dalla passione”… ma quando il bisogno di creare viene sostituito dal bisogno di guadagnare (per la legittima necessità di veder ricompensato il proprio lavoro), cosa peggiora a livello stilistico? Le scelte diventano più calcolate e meno spontanee?
Sì, manca la spontaneità molte volte. E hai anche l’ansia da prestazione. Ma questo capita a quelli come me che non hanno frequentato una vera scuola di fumetto. Un vero fumettista accademico saprebbe affrontare la cosa in maniera professionale. In entrambi i casi però e importantissimo farsi comprendere dal pubblico e non essere criptico. Essere chiari, disegnare bene alcuni particolari. Con me é accaduto che alcuni editori si sono sentiti attratti dal mio tratto, così ho provato.
Gli autori che hanno lasciato delle tracce dentro di te.
Frank Miller. Alan Moore. Paul Auster. Kalihl Gibran. Tarantino. I Queen e gli U2. Direi che gli stereotipi li ho presi tutti.
Hai mai disegnato qualcosa per conquistare una donna?
Per una donna sì, ma per farmi perdonare. O per un biglietto di augurio. O per dimostrare la mia vicinanza. Ma non per conquistarla. Penso che una donna la devi conquistare da uomo, non da artistoide. Se lo fai da artistoide, stai cercando di giocare con il suo cervello. La verità è questa, sono stronzate quando dicono che l’artistoide fa parte di te in questo caso: la verità è che non bisognerebbe mai fidarsi di uno scrittore. Va bene per un’avventura e per chi cerca una fuga, anche se in questo caso sei tu che alla fine vieni usato come un vibratore on off, ma non per una compagna. Con lei devi camminare con la stessa velocità ed essere tangibile, non sognabile.
Quali sono i disegni che hai fatto “di getto” e perché li hai fatti “di getto”.
Le tavole scritte da me sono state tutte fatte di getto. Perchè ero arrabbiato. Perchè desideravo. Perchè ridevo da solo. Perchè come un primitivo che si era emozionato durante la caccia avevo bisogno di dipingere nella mia caverna. Poi magari portavo fuori l’operato.
But Mirko is Kain? Or Kain is Mirko? Cosa avete in comune?
Le ex.
Chi dei due ha una gran passione per la musica?
Mirko è l’ascoltatore e lo scrittore. Kain è la rockstar fallita ma divertita.
Uno dei due è un ottimo scrittore. Chi dei due sa scrivere meglio?
Penso Mirko. Kain è odiosamente cinico a volte. Impulsivo. Mirko si sofferma su molte cose, anche sulla scelta delle parole. Ma sono due ignoranti al prezzo di uno.
Un consiglio e un saluto per gli amici di RDG?
Che dirvi. Siate delle rockstar, non delle groupie. Nella vita bisogna fare questa scelta. E un’altra cosa: il mondo si divide tra chi ha mollato e chi non ha mollato mai. Non mollate mai, siete belli.
Volete saperne di più su Mirko o su Kain? Cliccate qui!
Di seguito una galleria di immagini!
10 cose da sapere sulla creatività
Navigando sul web mi sono imbattuta in un articolo della bravissima Gioia Gottini una life coach & map maker. ( se ne volete sapere di più cliccate qui ) .
Gioia ha tenuto una workshop dal titolo “La mente creATTIVA” e ha riassunto il tutto in 10 punti:
1. Creatività non vuol dire manualità, o almeno non necessariamente, quindi si può essere creativi anche se si è negati per il bricolage e privi di pollici opponibili.
2. La creatività ce l’abbiamo tutti, è una capacità innata che è alla base della nostra evoluzione come specie: è così che abbiamo iniziato a usare degli strumenti.
3. I bambini non hanno nessun problema a essere creativi, gli adulti, spesso, vanno “rieducati” a prendere confidenza con la propria creatività. Il motivo per cui i bambini riescono a essere creativi e gli adulti meno, è che i primi non hanno paura di sbagliare.
4. Una mente creativa quando si imbatte in un ostacolo è capace di trovare soluzioni nuove, invece che ostinarsi a sbatterci contro oppure rinunciare: sviluppa il pensiero laterale, che è quello innovativo, capace di abbracciare nuove prospettive.
5. La creatività è ecologica, perché fa risparmiare tempo, soldi e fatica.
6. La premessa della creatività è il piacere. Se si parte dal dovere (ossia dover essere creativi) non funziona. Non ti senti creativa? Comincia con dare spazio al piacere nella vita di tutti i giorni.
7. Devi immaginare la tua creatività come un pozzo, ma un pozzo magico: più acqua attingi, più ce n’è. La creatività non diminuisce con l’uso, ma anzi aumenta, perché puoi abituarti ad usarla e quindi renderla sempre disponibile.
8. I limiti non sono un problema per chi è creativo, anzi: è proprio nelle difficoltà e nella scarsità (di tempo, di soldi, di azione) che la tua capacità di risolvere i problemi si potenzia e dà il meglio di sé (se glielo permetti).
9. Il motore per passare all’azione è l’entusiasmo: perché senza entusiasmo anche la creatività si spegne e non riesce a superare l’inerzia. Quindi l’azione creativa che hai individuato va messa in pratica proprio sull’onda dell’entusiasmo che questa scoperta ha generato.
10. Il fine della creatività è il successo, che corrisponde con la realizzazione personale. Se sei te stessa ed esprimi la tua individualità, sei creativa. E questa creatività ti fa sentire realizzata, ossia una persona di successo
Tema: “la mia va(c)canza a Zurigo”
Svolgimento: “Navigando su internet…”… no… “Un sito realizz…”, nemmeno. “In termini di navig…”. Uhm… nooo…
BRUUUUUUUUUUTTTOOOOOOOOOOOOOOOO!!!! Ma bruttobruttobruttobrutto!!!
Ora sì… E basta… Molti clienti (Un esempio su tutti: il “nostrano” Giovanni Rana) scelgono di “metterci la faccia” nel pubblicizzare la propria attività. Beh, io qui la faccia proprio non ce l’avrei messa. E voi?
Orsù, iniziamo. Parliamo della home page. Mostra quello che dovrebbe essere l’esterno dell’hotel ma che in realtà è un obbrobrio che più obbrobrio non si può. Per i niubbi tecno-curiosoni l’immagine è ottenuta con una funzione di Adobe Flash che permette di vettorializzare le fotografie e le immagini di tipo bitmap, con risultati non sempre soddisfacenti. Beh, questo li batte tutti.
La pagina iniziale è una specie di fluid-layout “de noartri”, dovuto al fatto che Flash rimpicciolisce gli swf se cambiamo le dimensioni della finestra.
Il menù, a destra, è l’unica cosa prettamente visibile. Tralasciando lo stile grafico dei bottoni, ANCORA A USARE LE CLIPART COME GRAFICA?!?!?! Siamo nel terzo millennio, a momenti partiamo veramente verso destinazioni ignote con l’Enterprise e voi… ANCORA A USARE LE CLIPART COME GRAFICA?!?!?!?! Ma pporcptn@#[* ascfatà ayatollà ramayà (quest’ultima antica invocazione sarà riconosciuta dai più vegliardi).
Scusate, mi ricompongo. L’elenco questa volta sarebbe lungo. Cito alcune cose: l’animazione del titolare (il “metterci la faccia“ di cui sopra, che tutto risulta fuoché simpatico), l’orologio in basso a sinistra, l’utilizzo del Times New Roman (ebbene sì, avete capito bene…). E… dulcis in fundo… IL CURSORE A FORMA DI MUUUUUUUUUUUUUUCCAAAAAAAAAAAA…ho capito che è l’hotel mucca-pazza, ma il cursore a forma di mucca nooooooo!!! E’ inguardabboli!!! Metti un’opzione per attivarlo o disattivarlo!!! Dulcis in fundissimo? Lo spottone pubblicitario, dove troviamo due anime perse per quel di Zurigo alla ricerca di un posto letto. E per il gioco delle somiglianze: chi vi ricorda il tizio con l’orecchino? Tralascio commenti sullo spot in sè. E’ un comico-trash che dura quanto una visita odontoiatrica: troppo.
In compenso vorrei soggiornare in questo hotel solo per vedere lo scivolo-pupazzo-portavivande in giardino, partorito dalla (de)mente di chissàcchi.
Tornando alla navigazione sul sito, un punto a favore tutto sommato c’è: i panorami a 360° dell’hotel. Che con un po’ di sforzo avrebbero potuto inserirli al posto di quella specie di navigazione “fittizia” che c’è ora tra i vari ambienti. A proposito, le pop-up non si usano più dai mondiali di Spagna, o giù di lì. Aggiornatevi, please!
Chiudo, con una richiesta. Anzi, un ordine!!! Avete tempo fino al 16 per votarci sui Macchianera Awards…
…altrimenti verrò a recensire orribilmentevolissimevolmente i vostri siti uèbbb!!!!!
TREEEEEEEEEMAAAAAAAAATEEEE!!!! Cioé. VOTAAAAAAAAATE!!!!
Odio dormire – Massimo Nava
Ben ritrovati amici di robadagrafici!
Questa settimana ho il piacere di intervistare Massimo Nava: instancabile docente di digital art e web marketing, grande appassionato del proprio lavoro.
Ciao Massimo! Benvenuto!
Grazie grazie grazie. Sono contento di essere qui e poter partecipare a questa intervista per gli amici di RDG 🙂
Inizi come fumettista e illustratore poi grafico/programmatore e docente. Raccontaci di questa metamorfosi.
In realtà il mio percorso credo sia piuttosto comune (e forse un pò banale, ma chi se ne importa): disegno di tutto da quando ho memoria, richiamato praticamente da tutte le insegnanti di asilo, elementari e medie perchè “potevo dare di più, ma è fissato con il disegno”. Fin da piccolo ho collezionato qualsiasi cosa attirasse la mia attenzione a livello visivo e, nel corso degli anni, crescendo, ho usato tutto quel che avevo a disposizione per crescere (libri e riviste, per lo più, e tanta tanta esercitazione).
Con l’arrivo dei computer (commodore64 > amiga500 > Pc > Mac) e soprattutto con l’avvento di internet ho iniziato ad avere fame, tanta fame di conoscere, di vedere, di scoprire e dedicarmi a tutto ciò che era “Visual”. Non ho mai abbandonato la dimensione cartacea (utilissima ancora oggi in fase progettuale) e, osservando autori, designers e illustratori mi sono buttato a capofitto nel settore, frequentando dei corsi (per lo più in giro per l’Italia) per aver la possibilità di trasformare una passione in lavoro.
Illlustrazione digitale, poi Grafica e, nei limiti di quel che so fare, programmazione (in realtà non son un programmatore ma crescendo, dovendo riparare i danni altrui, ho imparato ad interagire anche con i codici dei siti, fino a diventare -relativamente- autonomo).
Quasi per caso diventai docente, all’epoca erano appena arrivate le famose “patenti ECDL” e grazie alla direttrice di una scuola mi fu data la possibilità di ricoprire quel ruolo. Così ho scoperto che adoravo l’interazione e lo scambio che nascono in classe. Maturando ho poi avuto la possibilità di dedicarmi a ciò che facevo per lavoro, costruendo alcuni percorsi didattici un pò diversi dal consueto (dove possibile) insieme con i partecipanti di ogni classe. Uno stimolo continuo al quale non ho mai rinunciato e che infine, un paio di anni fa, è diventato quel piccolo mondo dei webinar che costruisco insieme con i partecipanti, un giorno alla volta.
Nel novembre 2011 nasce il progetto Artlandis Webinar and Workshop. Questi sono i numeri: 180 seminari online gratuiti, numerosi Workshop, incontri, contest ed eventi sul territorio. Com’ è evoluto il progetto nel corso degli anni?
Il mondo di “Artlandis’webinar” è nato e si è evoluto quasi naturalmente: inizialmente era solo la “congiunzione” delle mie attività lavorative e non (un metodo di insegnamento/condivisione online che usavo per lavoro, per alcune scuole sul territorio + la mia esperienza con Grafici Creativi, di cui sono admin, attraverso il quale organizzavo e gestivo eventi sia dentro che fuori la rete). Pian pianino ci ho preso gusto e grazie all’enorme quantità di stimoli, idee e proposte che arrivano dai partecipanti è mutato in qualcosa di un diverso, coinvolgendo altri docenti che avevano voglia di condividere le loro conoscenze e organizzando pian pianino altri eventi, contest e occasioni partecipative diverse.
Collaborando con tante realtà (agenzie e scuole per lo più) ho cercato di convertire ciò che usavo per lavoro in contenuti utili alla “mission” dei webinar (conoscenza aperta, reale e condivisibile) mettendo a frutto ogni appuntamento per crescere io stesso (opportunità che nasce dallo studio che precede ogni webinar e dallo scambio con i partecipanti di cui parlavo). Ho infuso idee al progetto ed energie al meglio che potevo. Senza mai pentirmente, devo dire.
Artlandis’ webinar non ha una sua Forma, muta secondo necessità. Cambia con me, con gli utenti, con la rete. La Sostanza che mi piace. Per questo nella terza stagione, in arrivo da metà ottobre, arriveranno altre costole del progetto, alcune già annunciate (o rimandate per motivi di tempo) sempre nell’ottica della collaborazione aperta, senza la noia di sponsor dalle assurde pretese e il tedio del business a tutti i costi)
E-mail e web marketing, Social Media Marketing, Logo design, Corsi di Photoshop, Illustrator, Indesign, Dreamweaver, Web Design… e molti, molti altri corsi. Come fanno tutte queste conoscenze a vivere in una persona sola? Come hai potuto apprendere questa montagna di informazioni a livelli “master”?
A livelli “master” non so (ma grazie per il complimento :D) semplicemente nel corso degli anni, un pò per quella fame di conoscenza e per passione, un pò perchè gestendo team di persone avevo bisogno di aver padronanza di alcuni argomenti, ho sempre voluto sperimentare/usare/approfondire tutto ciò che tornava utile per il mio lavoro.
Di conseguenza, lavorando tanto senza guardarmi mai indietro, giorno dopo giorno ho imparato a coniugare ogni strumento ed a non “aggirare” l’ostacolo ma tentare di superarlo, cercando di usare tutti gli strumenti alla mia portata nei progetti che gestivo. Avendo quella passione estrema per questo lavoro mi viene spontaneo dedicare momenti “liberi” all’approfondimento, all’uso e allo studio nei miei progetti di tante risorse diverse (e considerando che detesto dormire da quando ero piccino, la notte mi offre tante ore in più da usare al meglio). Ultimo ingrediente: la curiosità, fondamentale non accontentarsi mai di ciò che si è, essere sempre curiosi e accettare tutte le sfide che la rete ci mette a disposizione.
Quali sono i corsi più gettonati? Con che criterio scegli i corsi da proporre?
Fin dall’inizio i corsi più richiesti sono quelli dedicati al Social Media Marketing (la formula che propongo è più creativa che “accademica” e forse questo piace più del solito discutere retorico su argomenti triti e ritriti) seguito a ruota dagli argomenti “Visual” e “Digital Arts” che danno libero sfogo alle tecniche più diverse. Infine le lezioni su WordPress che attirano tutti quegli utenti desiderosi di essere anche semplicemente più autonomi rispetto al passato. Tutti gli altri argomenti attirano un pubblico dedicato, caso per caso.
Per la scelta dei corsi da proporre mi affido molto a chi mi segue, attraverso sondaggi frequenti e accettando i consigli di tanti che mi aiutano a far crescere il progetto dei Webinar. Credo che Ascoltare (con la “A” maiuscola dei Social Media) sia fondamentale e, nei limiti degli argomenti che conosco e degli strumenti online, cerco di accontentare tutte le richieste. Magari coinvolgendo chiunque abbia voglia di condividere la propria esperienza, come già succede.
Le tue lezioni si svolgono, come abbiamo già accennato, completamente online. Ho avuto modo di seguire sia dei corsi a pagamento che corsi free e sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’ efficienza del mezzo. Lezioni professionali a costi contenuti. La domanda nasce spontanea: quali sono secondo te i limiti delle lezioni online?
Limiti formali secondo me non ce ne sono. Dipende, semplicemente, dal numero di ore previsto e dagli strumenti collaterali che il docente sfrutta. Organizzando bene le attività, anche tramite la condivisione (in entrata ed in uscita) di files, documentazione, streaming video e collegamenti, si può sviluppare (quasi) ogni tipo di argomento. Certo, l’esperienza in aula è qualcosa di diverso, ma una volta “abituatisi” al mezzo, tutto risulta più facile.
Preferisci un corso full immersion in aula ad un webinar o per te sono sullo stesso livello?
Per me l’aula resta il primo amore, devo dirlo. L’interazione fisica e reale è sempre più coinvolgente (e meno dispersiva) ma cerco di portare il mio “metodo” anche all’interno dei webinar dove la non-formalità e un sorriso possono rendere più leggera una lezione da seguire.
Cosa hai in serbo per la prossima stagione di Artlandis?
Stiamo per lanciare il nuovo sito e la nuova “veste” funzionale dei canali Sociali attraverso i quali diffondo ogni contenuto/informazione, raccogliendo l’esperienza (e gli errori) del sito attuale per canalizzare al meglio tutti i contenuti rilasciati di appuntamento in appuntamento. Ci saranno inoltre contest/sfide creative mensili, senza premio, solo per il gusto di partecipare/esercitarsi/condividere offrendo poi ai partecipanti di mostrarsi adeguatamente attraverso un nuovo progetto il “co-magazine” lanciato qualche mese fa che partirà ufficialmente in ottobre.
Anche il format dei webinar sta cambiando e l’esperienza formativa godrà di nuovi strumenti e nuove modalità perchè ogni lezione diventi parte di un insieme più grande per chi ha voglia di crescere (e, come sempre, di condividere).
Chat, forum e community: strumenti che usi moltissimo per diffondere il nome di Artlandis e per tenere alta l’attenzione dei tuoi seguaci. Che ruolo hanno avuto nella diffusione dei tuoi corsi e delle tue attività?
In realtà devo tutto a loro 🙂 A parte qualche mini-campagna su Facebook che uso per accogliere nuovi utenti, uso moltissimo i Socials, in tutti i modi che posso: dalla condivisione alla raccolta degli strumenti, dalla pubblicazione delle slides alle “gallery”. Usare la rete, magari senza prendersi troppo sul serio, ci aiuta e stimola tutti, docenti inclusi 🙂
Visto che per reperire tue informazioni esistono decine e decine di link (che tra l’altro inserirò in fondo all’articolo) ho deciso di farti qualche domanda speciale. Sei contento?
Una Pasqua 😀
PASSIONE – SAPER FARE – FANTASIA – DEDIZIONE. Mettili in ordine di importanza (dal più importante al meno importante).
PASSIONE (il miglior stimolo per allontanare la stanchezza) – SAPER FARE (necessario studiare e crescere. Mai accontentarsi) – DEDIZIONE (Perchè un albero forte e robusto non cresce in un giorno. Quanto tempo serva non lo decide nessuno. Quindi, avanti tutta, finchè soffia il vento della Passione) – FANTASIA (importante ma, ne sono convinto, la Fantasia non è per forza una dote naturale. E’ una capacità che va alimentata, giorno per giorno. E la rete ti offre tutto ciò che serve per essere nutriti e soddisfatti)
Cosa ne pensi di piattaforme come Freelancer.com, Twago, Starbytes e simili? Li consiglieresti ad un tuo studente?
Consigliarlo o meno credo dipenda dal caso singolo. In generale queste piattaforme, come tante altre, svolgono un ruolo che può essere utile per qualcuno, soprattutto all’inizio o per farsi le ossa. L’argomento è ostico e ci sono tanti “pro” quanti “contro” ma, ne sono convinto, nell’ecosistema della rete tutto può servire.
Molti ragazzi hanno seria difficoltà a reperire clienti. Che consiglio ti sentiresti di dare per aumentare il pubblico e quindi riuscire a vivere – finalmente– del proprio lavoro di grafici e/o web designer?
Quel che consiglio spessissimo è di organizzare bene la propria Identità (dentro e fuori la rete), curando bene tutti gli aspetti del profilo personale, senza abusare degli strumenti disponibili (un classico: il portfolio di tanti con mille lavori diversi distribuiti senza che ne possa emergere un tratto distintivo). Fondamentale guardarsi bene allo specchio e decidere CHI essere e COME trasmettere le proprie capacità, avendo coscienza dei propri limiti o, per lo meno, dei punti di forza di cui ci si dota.
Inutile presentarsi in modo indistinto e dispersivo. Gli stessi “socials” secondo me non sono adeguatamente sfruttati da tanti grafici e web designers che si mostrano come “cloni” di tanti altri. Meglio concentrarsi, magari sui settori specifici e, perchè no, focalizzare l’attenzione concentrando le proprie energie e presentarsi, appunto, come “specialista” di un dato segmento commerciale (es. food, musica, cinema, corporate, ecc..).
Inutile poi avere un mega-sito portfolio che nessuno magari visita, meglio sfruttare i vari Behance, Linkedin, Pinterest per raccogliere i lavori partecipando a quelle community e, fondamentale, mostrare anche i “dietro le quinte” (WIP), che a volte comunicano molto sul metodo di lavoro scelto, differenziando i “mercenari” da chi questo lavoro lo fa sul serio e ci crede.
Hai avuto mai dei momenti in cui avresti voluto mollare tutto e partire per la legione straniera?
Mollare il mio lavoro e le mie passioni no. Abbandonare l’Italia si. Per i motivi che conosciamo e viviamo tutti i giorni.
Quante volte sei dovuto scendere a compromessi per amore del lavoro?
Tantissime volte. Fa parte del gioco.
Un essere umano “no limits” e su questo siamo d’accordo. Come fai a conciliare tutte le tue attività? Insomma, le giornate sono composta da 24 ore e, a meno che tu non dorma, non trovo siano abbastanza per fare tutto quello che fai! Ma la tua ragazza la vedi? 🙂
Di la verità, questa te l’ha suggerita la mia ragazza 😀 In realtà non ci vediamo quanto vorrei (ma questa cosa sta per cambiare, spero :P) ma ho la fortuna di stare con una persona molto comprensiva, quindi se a volte capita di dover rinunciare a qualcosa per necessità di lavoro in qualche modo si riesce a parlarne. Santa donna. (Ovviamente le farò leggere questa parte così faccio bella figura con lei. Forse però questo non dovevo scriverlo. Uhm…)
Scherzi a parte, premesso che odio dormire, come ho scritto prima, la mia fortuna è che il lavoro che faccio coincide con quel che mi piace fare. La Tv non la guardo mai, se non in sottofondo. L’X-box mi ha mandato un sms per dirmi che le manco. La Wiifit ha telefonato alla dietologa, preoccupata della mia salute. Quindi per rilassarmi spesso continuo a fare quel che faccio per lavoro. Sembra strano ma…beh, ognuno è fatto a modo suo.
Una cosa però ci tengo a dirla: per riuscire a fare tante cose è importante organizzarsi bene. Non mi riferisco solo alla dimensione “oraria” (che spesso non dipende da noi) ma alla pianificazione delle attività ed all’ottimizzazione degli strumenti. Come sa chi segue i miei webinar parlo spesso di come usare gli strumenti per creare rapidamente e bene i nostri progetti, senza rinunciare a nulla in termini di qualità. Le possibilità ci sono ed io che non sono un “idealista” del settore, ma prediligo usare quello che funziona, funziona bene e rapidamente, punto ad ottimizzare ogni risorsa.
Infine, nel mio caso, aiuta molto avere uno Staff che sa cosa voglio e come lo voglio. Un aiuto prezioso soprattutto sul fronte lavorativo. Organizzarsi in gruppo, dialogando e confrontandosi continuamente, non può che far bene alle nostre attività.
Un saluto agli amici di RDG!
Ciao mitici, siete una grande e bella famiglia. La spontaneità che serve in rete (e che non è così frequente come sembra). Grazie di questa intervista, dell’opportunità e di avermi fatto notare che dovrei lavorare un pò meno e portare un pò più spesso fuori la mia ragazza 😛
Vuoi conoscere meglio Massimo Nava? Ecco i link!
Di seguito qualche foto per conoscerlo meglio!
Sospetto che il comune di napoli si fumi la cicoria…non vogliono i lavori gratis… ma che io paghi per lavorare per loro…..#lavisibilitànonèuncompenso
io non ci credo.
leggo e rileggo e continuo a non crederci. Io non posso credere che l’intera giunta di Napoli sia composta da incompetenti e che diano cosi poco credito a una professione, a una categoria e che manchino in maniera meticolosa e certosina di rispetto a tutta la categoria dei creativi!!! Io non posso credere che per un evento come il Vomero Notte 2013 evento che ha come scopo quello di promuovere il buono e la Napoli “bene” abbiano avuto la bellissima pensata di chiedere, non solo il lavoro di una immagine coordinata gratis ma vogliono anche che chi prende il lavoro ci spenda soldi . Spiego meglio: il Vomero è uno dei quartieri più belli di Napoli, vi sono i palazzi delle famiglie nobiliari dei Carafa, dei Conti di Acerra, dei Ruffo di Sicilia e altri palazzi tutti storicamente importanti, è il quartiere più densamente popolato, che nel 1980 presso il City hall café ospitò l’incotro tra Joseph Beuys e Andy Warhol ; cioè il Vomero ha una storia e una humus storico – artistico – culturale enorme e che ha un enorme peso nel panorama artistico nazionale. tanto vero che anche nel FANTASTICO bando di concorso è scritto “un ulteriore occasione di aggregazione sociale non convenzionale con contestuale attenzione e considerazione per i presidi turistico-culturali, espositivi, commerciali e produttivi del Quartiere.” e si pone degli obbiettivi ammirevoli come: “promuovere e valorizzare risorse e patrimonio del territorio, agevolare i flussi turistici e non, contribuire al rilancio dell’economia, consolidare il legame del cittadino con il territorio, allargare l’offerta culturale, sociale e multiculturale” e intende farlo con un folto programma spalmato in 13 location del quartiere; tutto fantastico se non fosse che a un certo punto il bando scrive ” la realizzazione della manifestazione la Municipalità intende individuare, senza alcun onere e/o costo a carico dell’ente, un soggetto che curi la comunicazione e la promozione degli eventi ” va bene la crisi va bene che forse non avete la stessa liquidità del museo MADRE che si è sputtanato 20 mila euro in un logo.. però un MINIMO compenso sarebbe gradito… va beh sarei pure potuto passare oltre e pensare che un poter firmare un logo per un evento del genere possa essere un grande onore… ma non credo proprio che faccia bene alla visibilità di chi lo fa, al massimo la sera al pub con gli altri colleghi grafici te la puoi tirare, ma voi non vi limitate a richiedere un logo.. voi volete un intera immagine coordinata con tanto di gestione del sito… va bhe, ingoio il rospo e dico ci puo stare “Borderline” ma ci puo stare ma appena dopo leggo che:
“””Il concorrente dovrà altresì fornire ed allestire a propria cura e spese un numero minimo di:
- n. 5 striscioni microforati bifacciali di dimensioni m.6 x m.1;
- n. 20 manifesti di dimensioni m.6x m.3;
- n. 100 manifesti di dimensioni m.1x m.1,40;
- n. 1000 locandine, formato A3;
- n. 100 vetrofanie adesive, formato A4;
- n. 50.000 programmi brochures della manifestazione,
- n. 10.000 flyers pubblicitari.
Nessun corrispettivo è dovuto per la fornitura. “””
COSAAAAAAAAAAAAA???? COS’é CHE VUOIIII?????? nooo … e uno scherzo…una trollata… qualche utente di rdg mi sta palesemente prendendo per il cu**….No… sito vero… bando vero…. tutto vero… MAPOrKK&%/&$/%&/|=!/**
e la presa in giro è ancora più palese dal fatto che scrivono ”
“Un’apposita Commissione vaglierà le proposte pervenute sulla scorta dei seguenti criteri: la valorizzazione dei talenti emergenti.” ma scrivono anche ” Dovrà essere prodotta una relazione sull’attività svolta nell’ultimo triennio” oltre che” una autocertificazione, corredata dal documento del legale rappresentante, che contenga la denominazione e sede della ditta/impresa/società, il nominativo del legale rappresentante, gli estremi della iscrizione alla CCIAA e/o dell’atto costitutivo, la regolarità degli obblighi contributivi e previdenziali e del versamento dei tributi, l’insussistenza delle condizioni ostative”
Cioè tutte cose che un freelancer emergente non può avere, quindi quale ricerca di talento emergente state facendo??? Perché poi un professionista o presunto tale dovrebbe regalare un lavoro al comune comune di Napoli che in qualsiasi altro comune verrebbe pagato minimo diecimila euro?
Caro comune di Napoli io sinceramente sono di Salerno e non ho la dialettica per poterti rispondere ma credo che i ragazzini di “io speriamo che me la cavo” si:
la visibilità non è mai un compenso adeguato e mai lo sarà. Abbiate almeno la compiacenza di non millantare un bando che non è un bando bensi un bella e buona presa in giro verso tutti coloro che della grafica e della comunicazione ne hanno fatto la loro ragione di vita. Utenti indegnetivi al hastag #lavisibilitànonèuncompenso
Viaggiare, lavorando (e viceversa) – Francesco Paciola
Salve amici di “Soft chat interview”. Oggi intervistiamo per voi Francesco Paciola, direttore creativo calabrese, cresciuto a Cosenza ed emigrato prima a Roma per poi viaggiare in tutta Europa: noto come Franky Manocchio.
Attualmente è fermo ad Amburgo ma non sappiamo bene quanto tempo resterà.
Chi è Franky Manocchio?
Franky Manocchio è un “personaggio-brand” misto tra fantasia e reale, diciamo un alias, un AKA, un quello che ve pare.
Nasce casualmente dalla combinazione di due fattori: Franky è “l’americanizzazione” del mio nome, mia madre da piccolo mi chiamava così a “mò di sfottò”, Manocchio è il nome dato dalle persone che compravano le t-shirt (con il marchio e le grafiche Manocchio ndr.), di conseguenza hanno iniziato a chiamarmi anche me che le disegnavo, credo più che altro per necessità di identificarmi. Involontariamente da persona sono diventato “personaggio”. Tutto è nato così senza volerlo.
I tuoi studi, le tue “influenze artistiche” (che iniziano in famiglia). Gli autori che porti nel cuore.
Ho sempre odiato studiare, sincero, ho studiato (E studio) sempre solo quello che mi interessava veramente. Di sicuro ho sempre amato disegnare, il contatto della mina con il foglio bianco, i colori, i pennarelli. Ricordo che alle medie aspettavo le ore di educazione artistica e educazione tecnica con ansia. Gli altri giorni potevo fare anche “sega” a scuola, ma quando c’erano materie artistiche di mezzo, ore 8:00 ero già davanti al cancello della scuola. Poi Liceo Artistico, con le materie di Ornato, Figura, Modellato, Storia dell’Arte (si usa ancora l’Argan come testo?), era un flippare continuo. Inutile dire che seguivo con smodato interesse tutto questo filone di materie mentre snobbavo le altre. Cioè mi piaceva, ero stimolato, non sapevo dove mi avrebbe portato questo percorso, però lo seguivo e basta, una fede. Poi dopo il diploma capii perfettamente quale era la strada e mi iscrissi allo IED a Roma. Un bel periodo veramente.
Autori o artisti che “porto con me”, in verità non ne ho uno in particolare mi piace su tutto la corrente Futurista e qualche gradino più giù la POP ART.
Ma se dovessi farti dei nomi, così a bruciapelo ti direi Fortunato Depero ed Erberto Carboni, quando vedo i manifesti Campari o Barilla capisco cosa è l’Arte. Questo per quello che riguarda il lato più artistico del nostro mestiere, ma ve ne sarebbero così tanti da fare di nomi, che ne so, Bodoni il primo vero Type Designer italiano, il genio di B R U N O M U N A R I, Neville Brody, Aldo Novarese, Milton Glaser, Armando Testa, Vabbè ho capito, mi fermo qui.
Nel 1998 nasce “LOGOTYPE – branding design boutique”, creazione del “vestito perfetto per un’azienda”.
Il Core business dello studio è la progettazione e realizzazione marchi, logotipi e Pack. Tra i servizi anche web design. Sei sempre e solo tu che ti occupi di tutto oppure c’è qualcuno che collabora con te?
No, no assolutamente, io curo gran parte della direzione creativa dei progetti, poi di volta in volta mi avvalgo di figure che siano il più vicino possibile alle esigenze e allo stile scelto per quel determinato cliente. Mi piace sempre conoscere e confrontarmi con professionisti che operano nel settore della comunicazione. Anche se per quanto riguarda il discorso dell’immagine corporativa è una cosa che seguo gran parte delle volte in prima persona. Si è una droga.
Sai perché ho deciso di intervistarti? Perché lavori viaggiando (o viaggi lavorando?). Esporti, riporti, diluisci, combini. Un buon metodo per stimolare la creatività. Credo il migliore. Cosa ti porta, in realtà, a cambiare spesso ambiente?
Senza ombra di dubbio la routine. La routine mi uccide, è una cosa più forte di me. E ti sono sincero, invidio tutti quelli che riescono ad essere sistematici anche a distanza di anni. Questo mi porta spesso a cambiare spesso ambienti e situazioni. Però è un’ottima scusa per vedere cosa fanno “gli altri”. Come si muovono, che formazione culturale hanno. Perché una font, un colore, un tipo di pack. Il nostro lavoro è fatto anche in gran parte di curiosità. La curiosità crea stimolo, smuove, secondo me è importante essere curiosi. La risposta è entrambi, approfitto del mio lavoro per viaggiare e viceversa.
Nella domanda precedente scherzavo. Ti intervisto in quanto sei un ottimo creativo e graphic designer. Osservo i tuoi lavoro da anni e non ti manca una certa dote di simpatia, ironia, anticonformismo.
Allora, tanto per cominciare quando dici “un ottimo creativo” prenditi le responsabilità di quello che dici. Io non l’ho mai detto (risate)…
La simpatia aiuta sempre, aiuta sempre a far arrivare il messaggio in un modo indiretto, in seconda battuta, ma arriva. Diciamo che quelli sui social sono come dire più giochi di stile dedicati a strappare un sorriso alle persone. Sorridere fa bene, mette di buon umore, aiuta ad avere una propensione positiva alla vita, alle cose. Dovremmo sorridere di più secondo me, oggi siamo un po’ tutti incazzati con qualcuno o qualcosa. Non è uno dei migliori periodi, Ok! Ma lamentarsi non fa altro che peggiorarci. Peggiora noi e il mondo che ci sta intorno.
Quando studiavo allo IED mi sentivo dire spesso che avevo “una mano felice” e io rispondevo sempre: scusa, com’è “una mano triste?”.
Credo sia un’attitudine. Non saprei dirti, non è una cosa che cerco, mi viene naturale, mi piace. È come spiegarti come si fa ad essere anticonformisti? Boh, uno mica lo sa che è anticonformista, magari se ne accorge perché non è conformista, ma essendo in un modo non sai che quello è anticonformismo. Ma se lo dici tu, mi fido.
Quanta influenza ha avuto nella tua vita e nel tuo lavoro il tuo “nomadismo”?
FON DA MEN TA LE! Inutile nasconderlo, viaggiare apre la mente, ci sta ben poco da fare. Fa scattare tutta una serie di processi, di sensazioni, emozioni che magari fino a quel momento non avresti pensato. Poi ci sono luoghi che ti ispirano di più, altri meno, però ogni posto in cui vai ha sempre qualcosa da raccontarti, bisogna avere orecchio per ascoltarlo, poi questo si riflette anche nella tua professione. Ti arricchisce, ti valorizza come persona, ti aiuta a pensare in modo diverso (inconsciamente). L’unico problema del “nomadismo” è che se poi ci prendi gusto è difficile smettere. Però anche vero che prima o poi bisogna mettere radici da qualche parte. Ma forse forse anche No. Vedremo in futuro, chi lo può dire.
E Manocchio? Da dove viene fuori? Quando?
Il marchio Manocchio fece la sua prima comparsa il 9 Agosto 2002, data dell’inaugurazione dello studio. Il marchio in verità fu progettato per identificare Logotype Design (oggi Paciola Design ndr.). Di fatto rappresenta gli elementi base della comunicazione visiva. La mano, quindi il disegno, il tatto, la creazione (old school). E l’occhio, ovvero lo “scanner”, la vista, l’osservare. Tanto è che le prime t-shirt recavano la scritta Logotype Design e non Manocchio. Il giorno dell’inaugurazione, pensammo bene di regalarne un centinaio come gadget. Andarono a ruba, vabbè so gratuite è normale ci dicemmo. Ma distanza di tempo la gente continuava a chiedere le t-shirt con la “manina”. Ne ristampammo altre 100 e dopo pochi giorni finirono di nuovo. Ok! È un gadget gratuito, ci ripetemmo. Così decidemmo di andare in fiera a venderle (quell’anno 2000 pezzi), addirittura senza nome per vedere cosa accadesse. Il risultato fu che la gente usava tutte le declinazioni della parola “mano” e quindi prima che prendesse un’altra piega feci la cosa più semplice. Guardai il marchio e da qui nacque il naming Manocchio.
Ho notato molte tavole da snowboard nel tuo profilo. Se non sbaglio alcune sono fatte proprio da te!
Ho scoperto queste malattia per lo Snowboard qualche anno fa. Porta dipendenza sai? Si è una collaborazione che va avanti da un paio di anni insieme a un amico di Roma che fa Wrapping, Gabriele (Bichiri nda.). Ex collega e compagno di corso allo IED di Roma. Sono stati tra i primi a farlo nel centro sud Italia. Oggi trovi “grafiche già impacchettate” nei più disparati Brico. Il rischio è che una casa, un’auto o una tavola da snow sia uguale ad un’altra, mentre con la customizzazione è tutto un altro discorso. È tua, punto.
Il bello della grafica è che la puoi “spalmare” dappertutto, dalle passioni a tutti quegli oggetti che quotidianamente ti accompagnano in tutto quello che fai. Anzi ne approfitto per fargli pubblicità, Gabriè poi ti mando numero di Conto Corrente, wrapitup.it
Cosa ti piace nel tuo lavoro e cosa, invece, non ti piace affatto?
Del mio lavoro mi piace quasi tutto, mi piace svegliarmi la mattina con la voglia di fare, disegnare, accendere il computer, creare, sporcarmi le mani con i pennarelli, pennelli, colori, ma anche bestemmiare quando qualcosa non va per il verso giusto. Non è una professione in cui fila sempre tutto liscio, però il più delle volte mi trovo a fare qualcosa che mi piace.
Quando metto mano su una nuova commessa lavorativa, mi emoziono, si mi emoziono. Sento allo stesso tempo il peso della responsabilità (ci sta sempre un cliente da servire non lo dimentichiamo), l’adrenalina del creare, insomma per farla breve quel misto di emozioni che ti rendono vivo durante tutta la fase del progetto. Sono fortunato? Non lo so, ma non è che uno si alza la mattina e grida al mondo “sono un grafico e fare il grafico fa figo” e le commesse lavorative sono lì che aspettano te. La gente nemmeno immagina la lunga gavetta che ci sta dietro questa professione. Veramente tanta e tanta merda da spalare, soprattutto all’inizio. Non è semplice, credimi.
Cosa non mi piace? Non mi piace questo approccio del grafichetto italiano medio, sempre con il lamento in bocca, poco propenso al sacrificio, ad apprendere, che passa tutto il tempo sui social network e non aspetta altro che un collega, un’istituzione, una grossa azienda pubblichi qualcosa per dargli subito (a priori) addosso. Senza aver letto brief, obiettivi, posizionamento, senza sapere il perché e il per-come sia nato quel progetto o meglio logo. Ecco questo è un atteggiamento distruttivo a priori per chi in questo caso giudica. Sembra più un vizio che abbiamo appreso (poi da chi?) che una vero modo costruttivo di esporre una critica. Questo mi da veramente fastidio.
Perché ami il tuo lavoro?
Beh è una passione innata, me la sono ritrovata piacevolmente “addosso”. Mio padre era professore di applicazioni tecniche presso l’industriale (ora in pensione nda.), mentre mia madre era maestra di asilo nido (anche lei in pensione nda.) con spiccate doti di illustratrice. Mi piace pensare che io sia la conseguenza, il prodotto di qualcosa di tecnico e gestuale allo stesso momento. Una combinazione delle loro esperienze e delle loro professioni. Ma soprattutto mi piace pensare che sono un loro “prodotto”.
Che ruolo hanno avuto internet e i social network nel graphic design? Ci sono pareri molto contrastanti a riguardo.
Beh si, essenzialmente noi veniamo dalla carta, nasciamo come figura professionale in tipografia. Non lo so in tutta sincerità. Io credo che ognuno di noi debba muoversi a seconda di quello che si sente di fare. New media? New media! Carta? Carta! Però è anche vero che internet ha snellito molto il nostro lavoro. Negli anni 90 giravamo tutti con un lettore e una cartuccia Zip nello zaino, oggi premi invio ed il file sta nella posta del cliente o del fornitore anche a migliaia di chilometri di distanza. Questa è una comodità. Poi come mezzo per comunicare, beh è immediato no.
Progetti in corso?
Al momento sto lavorando su un nuovo brand, qui ad Amburgo. È una falsariga di quanto già prodotto in passato con Manocchio (t-shirt), meno street e urban e più (appunto) trasversale e meno dinamico. Si chiama Meine Perle (Clothing and Apparel), che per intenderci è il modo di apostrofare da parte degli amburghesi la propria città, come se un romano dicesse “core mio”. È in fase embrionale ma si muove bene. Mentre in Italia sto lavorando side by side con la Intertonno (alias Tonno Sardanelli), un cliente con il quale abbiamo stretto fin da subito ottimi rapporti. Ci siamo conosciuti e piaciuti quasi subito. Non capita spesso. È un lavoro interessante perché è un cliente di caratura nazionale in primis e poi abbiamo cominciato un discorso dal basso: restyling logo, packaging, campagne pubblicitarie e tutto il resto. Non credevo che una azienda del genere, di questo spessore, potesse darmi tanta libertà d’azione. Veramente figo come lavoro, stimolante.
Progetti per il futuro?
Scrivere un libro, come uccidere un account e una enciclopedia dal titolo: “ma chi lo dice che il cliente ha sempre ragione?”. La prefazione spiega anche come avvelenare il nipote del cliente prima che ti rubi il lavoro e faccia fallire l’azienda dello zio (risate).
Scherzo, ma per dire che i progetti sono tutti in essere. C’ho molta carne sul fuoco nel presente…
Questa è la domanda d’obbligo in ogni intervista: cosa consigli agli amici di RDG?
Ecco, questo è la domanda che mi fai per buttarmi nell’arena e darmi in “in pasto ai leoni” (risate).
Convivono così tante anime in RDG che è difficile dare un consiglio. Ma se proprio devo, eccone due. Uno, li inviterei ad essere più riflessivi e più dentro il nostro mestiere con professionalità e passione. In fondo questo è una professione che si fa perché NOI GRAFICI abbiamo prima di tutto una funzione sociale e poi commerciale. Meno GraphicStar più “sociali” (e non social) e più utili.
Due, una cosa che leggo spesso è che ci tuteliamo poco quando iniziamo a lavorare su una commessa lavorativa. È un problema comune, però sarebbe meglio fare dei passi importanti prima di mettere mano su un lavoro. Ovvero, preventivo, approvazione con firma (è un documento legale che può valere in futuro), anticipo etc etc… lo so è difficile ma è l’unico modo per tutelarci da eventuali “guai” futuri. Meglio avere 10 clienti buoni e non 50 che ci provano. Non prendere tutto, ma fare selezione fin da subito.
Un consiglio per chi ha appena deciso di fare del graphic design il proprio lavoro?
Di sdoppiare fin da subito il proprio cervello in prima battuta. Ovvero distinguere i lavori commerciali che solitamente sono “il pane” per i Grafici da quelli sperimentali, che sono la massima espressione del proprio IO. Difficilmente le due cose confluiscono in un’unica direzione. Sarebbe il caso di sentirsi meno artisti quando si ha una committenza sulla quale lavorare. Nel primo caso non siamo “dei geni incompresi” bensì bisogna capire che se si opera in un mercato la giusta misura sarebbe un punto di incontro tra la nostra professionalità e le richieste del cliente. Nel secondo caso, possiamo esprimerci in proprio come vogliamo. Magari montare un progetto in cui il cliente siamo noi stessi così possiamo esprimerci al massimo delle nostre potenzialità.
Ad ogni modo, avvicinarsi a questo settore/campo con passione e dedizione, altrimenti si finisce a diventare il solito GRAPHIMINCHIA con un Mac tra le mani: deprimente.